Analizzando l’esperienza diretta del TECNICO ORTOPEDICO andiamo un pò indietro nel tempo, verso l’anno 1979, quando iniziavano a costruire busti per pazienti distrofici, dal momento che, fino ad allora, i pochi che ci avevano provato non avevano ottenuto buoni risultati. Così attraverso diverse prove sul campo compresero che il problema principale era quello di ottenere una ortesi di tronco ben tollerabile, ma che consentisse nello stesso tempo di contenere la curva scoliotica favorendo il migliore allineamento possibile del rachide. I corsetti, soprattutto nei casi più gravi, dovevano tener conto della capacità respiratoria residua e consentire il miglior controllo del capo. Alla fine i TECNICI ORTOPEDICI si trovarono d’accordo su un corsetto univalva avvolgente con effetto tre punti, aperto anteriormente e con un’ampia fenestratura per consentire la respirazione diaframmatica. Nacque così il Corsetto Statico Equilibrato. Per ogni tipo di curva scoliotica si possono identificare tre punti di spinta necessari per il raddrizzamento della colonna. Questi possono essere posizionati sul piano frontale o su quello sagittale. In genere sono rappresentati dalla cresta iliaca, dalla spalla e dal gibbo. Come racconta il nostro tecnico ortopedico con oltre trenta anni di esperienza alle spalle, Dott. Orlando Cervoni per costruire il Corsetto Statico Equilibrato si possono utilizzare due diversi metodi, entrambi validi:
Il metodo tradizionale prevede di ottenere il positivo tramite calco gessato confezionato in posizione seduta utilizzando una trazione posta sul capo, che ha il compito di eliminare o diminuire l’effetto della gravità che schiaccia verso il basso il tronco. Per prendere il calco, come spiega il dott. Cervoni, si posiziona il paziente seduto su un particolare sgabello provvisto di un sistema di trazione assistito da un dinamometro che misura la forza traente sul capo in kg. Una mentoniera imbottita viene applicata al mento del paziente. Ad essa si associano le spinte operate dalle mani del tecnico che allineerà e deroterà il tronco, cercando di mantenere l’equilibrio complessivo. Lavorando contemporaneamente con altri operatori, si esegue, con bende gessate a presa rapida, il primo calco negativo. A indurimento quasi completo si sgancia la trazione e, inclinando il paziente sui due assi, saggittale e frontale, si ottimizza l’assetto del tronco e l’equilibrio del capo. Si controlla poi, visivamente, che il soggetto abbia il miglior allineamento possibile e che mantenga gli occhi sulla linea orizzontale. Successivamente, si riempie il negativo e si lavora il gesso con scagliola colorata, in modo da rendere visibili gli eventuali riporti di materiale rispetto alla forma iniziale, fino ad ottenere la forma cercata senza mai cadere in correzioni eccessive.
L’altro metodo, introdotto recentemente, è il sistema computerizzato cad cam. Esso offre l’indubbio vantaggio della repetibilità, della velocità di esecuzione, della possibilità di calibrare correzioni, pressioni, equilibri e assetto complessivo, in quanto, lavorando frontalmente con scale millimetriche, si possono documentare le più piccole variazioni apportate. Questo metodo permette di superare la difficoltà di acquisire le misure
corporee e la forma dei pazienti con malattie neuromuscolari, dal momento che è possibile tramite uno scanner laser mobile direttamente sul paziente, oppure copiando tramite uno scanner laser fisso il negativo di gesso, o il corsetto già in uso. Successivamente, si trasportano i dati sul software di modellazione per l’ulteriore stilizzazione. In questo modo il lavoro diventa più agevole e facilita la progressiva accettazione del corsetto. Questo sistema è molto più preciso e meno stressante per il paziente, i corsetti ottenuti sono più tollerati e l’assistito ad ogni rinnovo ottiene un corsetto modificato nelle misure corporee e corretto nei punti critici, ma, sostanzialmente identico ai precedenti. Una volta finito virtualmente il calco, tramite un dischetto, si trasportano i dati ad una fresa a controllo numerico, che da un blocco di poliuretano più grande ricaverà il modello positivo finito. Successivamente si passerà alla termoformatura con materiali modellabili ad alta temperatura. Si usano polietilene, usando forni ventilati e sistema di formatura sottovuoto (vacuum), per garantire una completa aderenza tra resina e positivo, annullando i vuoti che si possono creare specie tra gibbo ed avvallamenti del calco.
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